Moribus deficiunt: Rosè italiano dalla Spagna
È probabile che un enologo possa augurare ad un consumatore
che acquista effettivamente un vino con il nome "Rosè Italiano" il
mal di testa per 3 giorni. Ciononostante occorre tutelare anche il consumatore inesperto
che confida nella reale origine italiana del prodotto.
La Corte d’Appello di Francoforte (OLG Frankfurt) ha però una visione diversa e permette ad un produttore di vino spagnolo che ha raccolto le uve in Italia e le ha trasformate in un "vino base”, ma che ha effettuato l’ultima decisiva fase di lavorazione in Spagna (seconda fermentazione con l’aggiunta di liquore, zucchero e lievito), di commercializzare il suo vino come "Rosè italiano" e "Prodotto d’Italia”.
L’OLG ritiene che la seconda fermentazione effettuata in Spagna non alteri la vendemmia e la trasformazione in vino in Italia ai sensi dell’art. 45, comma 1, del Regolamento (UE) 2019/33.
I redattori di questa lettera ai clienti, che
hanno una forte passione per il vino, ravvisano un abuso dei termini di origine
italiana. Non a caso il vino modificato viene commercializzato come "Rosè
italiano” e non - cosa che sarebbe giuridicamente non problematica - come
"Rosè spagnolo”. Il fascino della designazione di un’origine italiana è
ancora così forte da poter soddisfare un’aspettativa positiva del consumatore. Se
a un certo punto il consumatore scoprirà che una cosa ha lo stesso sapore di
un’altra, il fenomeno dell’”Italian sounding” si risolverà da solo.